31 maggio, 2006

Chiusura di una fabbica di alta moda


Oggi si conclude la storia della Ruffo s.p.a. di Bientina (Pisa), industria leder nel settore dell’alta moda.

Come avevo già scritto alcuni mesi fa sul Blog di Beppe Grillo, dopo un anno di contratto di solidarietà la famiglia Corsi proprietaria del Marchio ha deciso di chiudere lo stabilimento.

Ma Veniamo ai Fatti:

1. Un anno fa la proprietà decide di accordare il contratto di solidarietà a circa 80 dipendenti.

2. Durante questo anno alcuni dipendenti si sono licenziati anche incentivati dalla proprietà, altri sono andati in prepensionamento, riducendo il numero dei lavoratori agli attuali 55 .

3. Dopo vari incontri fra autorità locali, sindacato e la proprietà, ai lavoratori viene fatto presagire che ci potrebbero essere dei soggetti interessati a subentrare nell’acquisto del marchio, con conseguente mantenimento dei posti di lavoro.

4. Seguono diversi incontri fra il Sindacato e la Confindustria dove peraltro la proprietà evita sempre di presentarsi, delegando gli Amministratori alla trattativa.

5. In considerazione dell’interesse di soggetti terzi all’acquisto del marchio, il sindacato chiede di concordare la cassa integrazione straordinaria, la proprietà nega questa possibilità mantenendo saldo il fatto che vuole chiudere la fabbrica senza dare spiegazioni sulle trattative in corso.


Questo avvenimento mi porta a fare una riflessione sulla responsabilità dei nostri imprenditori, ma in particolare sul settore dell’alta moda.

Questa fabbrica fino a poco tempo fa era presa come esempio di eccellenza e di qualità, le lavoratrici hanno cucito i capi delle maggiori griffe italiane, l’esperienza di questa fabbrica risale agli anni 70 dove la famiglia Corsi (proprietaria dell’Empoli Calcio) aprono una piccola catena che prevalentemente confeziona impermeabili, passando successivamente alle confezioni in pelle.

Va detto che mai prima di ora c’erano stati segni di perdite di quote produttive, frutto si di una proprietà capace, ma è anche vero che nessuna fabbrica produce in qualità e progredisce senza maestranze qualificate.

Che cosa è accaduto allora? Sono arrivati i cinesi? NO..NO..NO…!

Ma allora? il problema è che la seconda generazione di imprenditori della famiglia Corsi ha semplicemente deciso che conviene produrre in Croazia, dove da qualche anno esiste una collaborazione stretta con una fabbrica di confezioni.

Le lavoratrici hanno denunciato alle autorità che venivano anche capi direttamente dalla Croazia, con il cartellino made in Croazia, e loro erano costrette a sostituirlo con quello made in Italy, capi che vanno negli atelier per poche persone (visto le griffe).

Ora questo, oltre all’aspetto legale sul quale non mi pronuncio non essendo un esperto in materia, porta a mio avviso ad una riflessione politica:

• Se noi perdiamo quote di lavoro produttivo a causa della concorrenza dell’est dell’Europa cosa vuol dire? L’EUROPA E' SOLO MONETARIA…MANCA L’EUROPA DEI SALARI E DELLA PARITA’ DEI DIRITTI DEI LAVORATORI, QUESTO FENOMENO CREA CONCORRENZA SLEALE CON I PAESI CHE HANNO RAGGIUNTO UN GRADO DI TUTELA DEI LAVORATORI DEGNO DI UN PAESE CIVILE.

• Le firme del made in Italy hanno chiesto ed ottenuto tutele per evitare i taroccaggi MA LORO CHE CERTEZZE DANNO SUL PRODOTTO CHE VENDONO E SUL RISPETTO DELLE REGOLE?

• I GOVERNI IN CARICA COSA HANNO FATTO? COSA INTENDONO FARE PER CREARE UN GRANDE PATTO SOCIALE? SE PERDIAMO SETTORI PRODUTTIVI AD ALTO VALORE AGGIUNTO IN ITALIA COSA RIMANE?

• Se le attività produttive vanno all’estero come facciamo ad aumentare il PIL?

• MA SOPRATTUTTO, AMMESSO CHE SI INVESTA IN RICERCA COME GESTIAMO LA TRANSAZIONE? SAPPIAMO TUTTI CHE LA RICERCA E’ IL FUTURO, MA INVESTI OGGI, PER AVERE I PRIMI RISULTATI FRA 10 ANNI.

Questa è la grande sfida che ci aspetta! Ed è una sfida che dobbiamo affrontare tutti insieme, il sistema paese siamo noi cittadini, senza distinzione di ceto sociale. LA RESPONSABILITA’ SOCIALE E’ UN DOVERE MORALE DI TUTTI, NESSUNO ESCLUSO.

Oggi tutta la mia solidarietà va a quelle lavoratrici e lavoratori che da domani saranno disoccupati e, per quel che può valere, vi confesso che ogni tanto mi vergogno a dire che io sono un imprenditore.

ernesto scontento